Pubblicato su politicadomani Num 90 - Aprile 2009

"Viaggio nell'economia campana"
Tra scoraggiamento e speranza

È il capitolo introduttivo al "viaggio" del nostro economista, un po' la sintesi, sempre in chiave propositiva e molto concreta di due sentimenti contrapposti in qualche modo costitutivi e caratteristici dell'indole partenopea. Il libro si rivolge agli imprenditori che glielo hanno chiesto, ma Marco Vitale parla in realtà a tutti. Basta ascoltarlo

di Marco Vitale

UN VIAGGIO DIFFICILE
Quanto più ci inoltravamo nel nostro viaggio nell'economia campana più cresceva in noi un senso di sgomento per la complessità e la difficoltà del compito.
La prima ragione è simile a quella che espose Guido Piovene all'inizio del capitolo sulla Campania nel suo memorabile "Viaggio in Italia": Napoli è "un argomento senza fine".
La seconda ragione è che raramente ci è apparsa più chiara l'impossibilità e l'astrattezza di scindere l'economia da una visione più organica e complessa che unisca aspetti sociali, politici, istituzionali, culturali. Noi cercheremo, per quanto possibile, di rimanere legati all'economia e più in particolare all'economia imprenditoriale, ma nella piena convinzione della necessità di arricchire la visione con gli altri aspetti citati.
La terza ragione è la più specifica e dolorosa. Nel corso dei mesi in cui si svolgeva il nostro viaggio, Napoli e provincia sono state reiteratamente colpite dai loro due flagelli principali: la recrudescenza degli scontri armati tra bande della malavita organizzata che dominano interi settori di città e provincia e le difficoltà di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani che hanno reiterato l'umiliazione della città di fronte al mondo intero. La virulenza con cui i due flagelli (uno antico e frutto della storia, l'altro recente e frutto dell'insipienza della classe politica e delle amministrazioni locali) hanno colpito la città, è stata tale da giustificare un diffuso senso di scoraggiamento, sia nei nostri interlocutori cittadini che nei maggiori commentatori ed analisti, che in noi stessi. Un senso di scoraggiamento che rischiava di far apparire di secondo piano se non futili i temi più strettamente economici. Nel corso di questi mesi si sono sentiti autorevoli commentatori parlare di morte della città o di città perduta, che evoca il famoso: "Fujetevenne" di Eduardo de Filippo, mentre il sindaco della stessa dichiarava che per migliorare la situazione ci vorranno cinquant'anni. Se questa fosse una lettura convincente, vi sarebbe ben poco da aggiungere e da fare. Non è certamente nostra intenzione sottovalutare la portata e l'effetto dei due flagelli, ma noi pensiamo che le letture più disfattiste che parlano di morte della città, o che affermano che per ricuperare un livello di vita più civile per la città di Napoli ci vorranno almeno cinquant'anni (il che equivale a mandare un messaggio di tragico e triste immobilismo ed impotenza), non siano fondate.

FRA ECCELLENZA E DESVILUPPO
A questa conclusione ci ha portato proprio il nostro viaggio in Campania. Mentre l'opinione pubblica veniva bombardata da messaggi sulla città morta o moribonda o, comunque, arresa ai suoi più gravi flagelli, noi ci trovavamo a viaggiare in mezzo ad un'economia certamente gravata da seri problemi ma viva, a realizzazioni imprenditoriali di primo piano insieme a grandi fallimenti pubblici, ad una società articolata giovane e vivacissima anche se spesso confusa, a progetti interessanti, a potenzialità enormi. Il nostro viaggio ci portava attraverso una regione dotata di eccellenti infrastrutture, di porti commerciali di levatura internazionale collegati a strutture interportuali di primo piano, di settori industriali di tutto rispetto con punte di eccellenza, di tradizioni e realtà artigianali ed agroalimentari di qualità, di un patrimonio naturale, paesaggistico e culturale tra i più importanti del mondo e, quindi, di un potenziale turistico immenso, di un apparato universitario e culturale importante. Sicché pian piano la domanda centrale che andava occupando il nostro tavolo non era più se la città fosse o meno morta o perduta, ma era quella che tanti altri si sono fatti e cioè come fosse possibile che una città ed una regione dotate di così grandi potenzialità di sviluppo potessero crogiolarsi in uno stato deplorevole di non sviluppo o desviluppo, in un piangersi addosso senza fine, in un mare di chiacchiere, in bellissimi progetti sempre enunciati ma raramente realizzati, con un livello di disoccupazione assolutamente inaccettabile e incomprensibile in una città ed in una regione dotate di tali potenzialità.
È una domanda che abbiamo posto a tutti i nostri interlocutori, ricevendo tante risposte parziali (ragioni storiche, culturali, psicologiche, di politica economica contemporanea, di politica nazionale o regionale, di un'imprenditoria dominata da una vocazione assistenziale, del peso della camorra, del dominio di una gestione clientelare e "ameritocratica" nelle amministrazioni pubbliche e altro), ma senza ottenere una risposta globale convincente.

CERCARE CON UMILTÀ
E forse una risposta globale non esiste o, se esiste, è troppo complessa da elaborare. Forse solo una batteria di computer simile a quelle utilizzate per i voli nello spazio potrebbe tentare una risposta globale. Ed allora è meglio rinunciare ad una risposta globale ed accontentarsi di risposte parziali, affrontando ogni specifico aspetto singolarmente, con umiltà e semplicità; smontare il meccanismo nelle sue parti principali per quello che si può, accontentandosi del possibile, del meno peggio, del fattibile.
Questo approccio è proprio della cultura imprenditoriale e della migliore prassi manageriale e organizzativa. Esso è stato perfettamente teorizzato da Herbert A. Simon: "A causa dei limiti delle capacità intellettive dell'uomo in paragone alle complessità dei problemi che individui e organizzazioni si trovano ad affrontare, il comportamento razionale esige modelli semplificati che includano gli elementi essenziali del problema senza rifletterne tutta la complessità". Chi ha dimestichezza con questa cultura sa che i sistemi complessi vanno smontanti e resi il più possibile semplici, affrontando e risolvendo i problemi uno per uno, riportandoli nel regno del possibile (mi ha colpito la coincidenza con il fatto che il Convegno sul Risanamento del Centro Storico di Napoli, promosso il 12 dicembre 1986 dalla Società Studi Centro Storico di Napoli, fu appunto intitolato: "Il Regno del possibile"). La lettura dei numerosi documenti pubblici emessi sul tema dello sviluppo regionale e soprattutto di Napoli e della sterminata produzione letteraria e giornalistica sviluppatasi sugli stessi colpisce proprio per l'assenza di questa dimensione culturale e di questa umiltà pragmatica. La tendenza è verso piani globali, onnicomprensivi, perfetti, che realizzino non il possibile ma il meglio del meglio. Un extraterrestre che avesse come base di conoscenza solo questa letteratura e che credesse ad un alto livello di realizzazione e di realizzabilità di quanto in essa scritto, non potrebbe non immaginarsi la Campania come una regione di altissimo sviluppo economico, civile, scientifico, politico-amministrativo, una delle migliori al mondo, un modello per tutti ("vogliamo essere un laboratorio nazionale" è frase ricorrente in questi documenti); ma mi è capitato anche di leggere che la Campania si candida a diventare la capitale europea dei trasferimenti tecnologici (con buona pace del leader europeo, la tedesca Fraunhofer); e che il vero obiettivo della Regione è ora "Zero Waste" (zero rifiuti), come nel paradiso terrestre, e qui il sentimento che ci prende è di vera e pura mestizia. Sentimento analogo ci prende quando sentiamo pseudo intellettuali che discettano se a Napoli sia o meno opportuna la tolleranza zero.
Appropriata ci sembra la citazione di Giuseppe Prezzolini che scrive: "Non è un mistero storico che i paesi deboli ricorrono a programmi remoti e fanno proprie, entusiasticamente le missioni più irrealizzabili, come se ciò fosse un farmaco per la loro povertà materiale e le loro infermità morali e come se per sanare grandi mali bastassero parole grosse… (con l'inclinazione) a prendere la parola come equivalente dell'atto" (in The legacy of Italy, New York, Vanni, 1948).

AGLI IMPRENDITORI
Il nostro incarico nasce dal mondo imprenditoriale e principalmente al mondo imprenditoriale è rivolto il nostro Rapporto. Esso cerca fondamentalmente di rispondere a due domande: qual è l'effettiva situazione dell'economia campana nella sua interezza e nelle sue singole componenti; cosa possono fare gli imprenditori per accelerarne lo sviluppo reagendo, realisticamente e concretamente, ad un certo clima di rassegnazione, se non di demoralizzazione, presente in parti della Campania. Nel corso del nostro lavoro la recrudescenza di alcune piaghe sociali più evidenti nella città di Napoli e l'aprirsi di un dibattito nazionale sulla vera o presunta "morte" della città ci ha portato a prendere posizione anche su questa domanda: Napoli è città morta o moribonda o perduta? Qual è il ruolo degli imprenditori per contribuire a rovesciare questa visione che, a prescindere dalla sua fondatezza o meno, pesa su tutta la Campania e, considerata l'importanza della Regione, su tutto il paese? La prima domanda è più che giustificata, non solo da quello che abbiamo letto in questi mesi, da cosa scrivono oggi i Giorgio Bocca, ma da quello che scriveva nel 1903 Francesco Saverio Nitti, aprendo, con queste parole, il suo saggio: "Napoli e la questione meridionale", che resta uno dei più importanti scritti economici dedicati a Napoli:
"Napoli, la grande città che era ancora qualche secolo fa la seconda in Europa per popolazione, che nel 1860 soverchiava per importanza tutte le città italiane; Napoli, la città che Sella chiamava "cospicua" e che aveva almeno fino a poco tempo fa alcune apparenze di ricchezza, Napoli muore lentamente sulle sponde del Tirreno".
Ritroviamo anche qui il concetto di una città che muore lentamente, concetto ripreso in numerosi commenti contemporanei, per esprimere una tendenza al declino che, secondo noi, va letto non tanto rispetto ad un grande passato ma in relazione ad una potenzialità che resta, in grande parte, irrealizzata ed inespressa.

 

 

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